"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)



Quello che fai per te stesso morirà con te,quello che fai per gli altri rimarrà per sempre


Palio dei Normanni, 12/13/14 agosto

domenica 17 agosto 2014

La Domenica con Gesù, XX del tempo Ordinario / A

……… per tutti coloro che desiderano lasciarsi guidare dalla Parola di Dio: un commento per meditare e per prepararsi alla Liturgia della Santa Messa domenicale.

Testi: "...Gli stranieri, che hanno aderito al Signore...Quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte di gioia santo e li colmero' di gioia..." Is 56,1.6-7 . 
" Fratelli, a voi genti, ecco che cosa dico: come apostolo delle genti, io faccio onore al mio ministero, nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni..." Rm 11, 13-15. 29-32 . 
"...Una donna cananea...si mise a gridare: Pietà di me, Signore, figlio di Davide ! Mia figlia è molto tormentata da un demonio. Allora...i suoi dicepoli...:Esaudiscila, perchè ci viene dietro gridando...Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini". ...Eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola del loro padrone...Gesu' le replicò: Donna, grande è la tua fede ! Avvenga per te come desideri"...Mt 15, 21-28 .

Al centro dell' attenzione non vi è la guarigione o l'esorcismo, bensì, il dialogo tra una madre implorante e Gesù: dalla loro relazione scaturiscono notevoli conseguenze per la donna e sua figlia, ma anche per il rapporto dei cristiani con gli stranieri. Matteo presenta subito la co-protagonista, come una "donna cananea". Matteo, dunque, fa leva sul sentimento di ostilità e di inimicizia, esistente tra ebrei e cananei. Infatti, la tradizion vetero-testamentaria considera Canaan, come uno dei popoli, che gli Israeliti devono "annientare"; quindi erano considerati, per definizione, dei "reietti".

Il contesto culturale ci aiuta a comprendere lo strano "rifiuto", che Gesù sembrava riservare a questa persona. Ella, quindi, "irrompe" sulla scena, gridando il proprio dramma familiare: "Pietà di me, Signore, figlio di Davide ! Mia figlia è molto tormentata da un demonio" (v.22). Ella è una donna sola, che si rivolge a degli ebrei, una pagana, che supplica un maestro di un' altra religione. Perchè chiami Gesù col nome di "Signore, figlio di Davide", dal testo non viene spiegato; è facile pensare che la fama dei prodigi, compiuti da Gesù, sia giunta fino a lei.

Di fronte a tale accorata invocazione, Gesù reagisce con un silenzio assordante: non la degna, addirittura, neanche di una risposta. L' evangelista sottolinea, chiaramente, la reazione intenzionale di Gesù, come un rifiuto; che contrasta, clamorosamente, con la commozione del Maestro di fronte alla folla nella moltiplicazione dei pani (Mt 14,14 e 15,32).

I discepoli chiedono a Gesù di congedare la folla affamata. Non sono più buoni e comprensivi del Signore, ma si sentono infastiditi da quella donna, che urla. Anche in questo caso, il Maestro aiuta a riflettere sulla sua missione: egli ha un mandato diverso, che non gli consente un cambiamento tale, da includere la cananea. Questo discorso di Gesù è rivolto ai giudei, i quali possono comprendere subito l' allusione al testo di Ezechiele 34, col riferimento alle pecore perdute della casa d' Israele (Mt 10, 5-6).

Notiamo, comunque, che Gesù stesso inaugura e legittima una "inaudita" apertura ai non ebrei. Nonostante il rifiuto, infatti, la donna si avvicina di più al Signore e compie un atto di adorazione, dicendo: "Signore, aiutami ! " (v.25). Era consuetudine assai diffusa che i giudei chiamassero i "pagani" con l' appellativo di "cani". Per cui il Maestro "adotta" il linciaggio comune, che appare abbastanza comprensibile anche per pagani. Il diminutivo, "cagnolino", qui adottato, attutisce appena la valenza offensiva della parola.

La donna accetta di restare dentro questa relazione, così come non si era scoraggiata di fronte a silenzio-dissenso. Non va via, non si offende, non si demoralizza, bensì vince la resistenza iniziale di Gesu'. Infatti, accetta di essere paragonata ad un cagnolino, ma riflette cosi': "anche i cani trovano posto sotto la tavola ed hanno la possibilità di mangiare le briciole che cadono.

Di fronte a questa considerazione, la resistenza di Gesù sembra vinta. Matteo, addirittura, mette in bocca al Maestro un raro complimento: "Donna, davvero grande è la tua fede" (v.28). Gesù mostra di conosce il cuore di lei e lo fa conoscere ai discepoli: l' atteggiamento di quella donna, cioè, è segno autentico di fede. E' questa l' unica circostanza, in cui Matteo qualifica la fede di qualcuno come "grande".

Gli osservanti farisei dell' episodio rappresentano la tipica religiosità giudaica del I secolo: Gesù, per trovare una fede grande, deve andare all'estero, in terra straniera, tra i popoli pagani, nel cuore di una donna, addirittura "cananea". "Avvenga per te come desideri" (v.28). La risposta di Gesù compie il desiderio della donna, riconoscendo che il suo modo di rapportarsi a lui era corretto. Questa donna, infatti, esprime un "atteggiamento filiale", di dipendenza e fiducia, ma anche di affetto e costanza; incarna la spiritualità dei "poveri del Signore", che si rivolgono a Lui, per ottenere misericordia.

Gesù vuole indicare che questa donna è già dentro la "logica del Regno dei cieli". La guarigione avviene "a distanza", perchè non interviene con un contatto su un ammalato, ma parla alla madre di una ragazza, tormentata da un demonio, in assenza di questa. Il narratore, infine, ci informa dell' efficacia della parola risanatrice di Gesù. Tutta l' attenzione va alla fede di una donna straniera e il dialogo tra lei e Gesù - racchiuso tra le due moltiplicazioni- risulta l'occasione che fa passare la comunità cristiana dalla "chiusura farisaica" all'apertura universale della salvezza. Un simile racconto segna e legittima il passaggio all'universalità: è questa la conversione, che fa riconoscere figli e fratelli, quelli che prima si consideravano "cani".

                                                                                       Mons. Nino Scarcione 

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