“…Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete…noi ci rivolgiamo ai pagani…” At 13,14.43-52 .
“Io, Giovanni, vidi…una moltitudine immensa…di ogni nazione, tribù, popolo e lingua…” Ap 7,9.14b-17 .
“…Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono…” Gv 10,27-30.
“le mie pecore ascoltano la mia voce”. Non i comandi, la voce. Proprio quella che racconta una relazione e rivela un’ intimità. Come dice Ermes Ronchi nella sua riflessione, la voce giunge all’ orecchio del cuore, prima delle cose che dice. Il bambino piccolo, quando sente la voce della madre, la riconosce, si emoziona, tende le braccia verso di lei ed è felice. La voce è “il canto dell’ essere” : “Una voce ! L’ amato mio !...Viene saltando per i monti, balzando per le colline” (Cantico dei cantici 2,8). E prima ancora di giungere, l’ amato chiede, a sua volta, il canto della voce dell’ amata: “La tua voce fammi sentire” (Cantico dei cantici 2,14). Quando Maria salutò Elisabetta, la sua voce fece “danzare il bambino nel grembo”.

Il pastore buono mette al centro della religione, non quello che io faccio per lui, ma quello che lui fa per me. Nel cuore del cristianesimo non è collocato il mio comportamento o la mia etica, ma l’ azione di Dio. La vita cristiana non è fondata sul dovere, ma sul dono: vita autentica di Dio riversata su dime, prima ancora che io dica sì al suo progetto. La mia fede, dunque, è incremento, accrescimento di umanità e di cose che meritano di non morire. Lo stesso Gesù lo dice con una immagine “di lotta e di tenerezza”: “Nessuno le strapperà dalla mia mano”. L’ eternità è un posto tra le mani di Dio, che scalda il freddo della solitudine.
Mons. Antonino Scarcione
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