“…Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi precetti…”Dt 30,10-14 .
“Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile…Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti…” Col 1,15-20 .
“…Chi è il mio prossimo ? Gesù rispose: Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti; che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto…Un sacerdote…lo vide e passò oltre,…Un levita…vide e passò oltre. Invece un samaritano,…vide e ne ebbe compassione…Gli si fece vicino…Va’, e anche tu fai così” Lc 10,25-37.
“AL CENTRO DEL MESSAGGIO DEL VANGELO ODIERNO TROVIAMO UNA PARABOLA; AL CENTRO DELLA PARABOLA UN UOMO E QUEL VERBO INCONFONDIBILE: TU AMERAI. E QUINDI LE FAMOSE PAROLE: FA’ COSI’ E TROVERAI LA VITA”.
Questa la breve sintesi, tracciata da E. Ronchi, che valorizziamo in questa nota. Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico…Ecco uno dei racconti biblici più belli del mondo. Sappiamo bene che il mondo intero scende da Gerusalemme a Gerico. Come opportunamente afferma lo studioso, nel suo commento a questa pagina del vangelo di Luca, nessuno può dire: io faccio un’ altra strada, perché siamo tutti nella sessa strada. Ci salveremo insieme o non ci sarà salvezza.
Il primo che passa per quella strada è un prete. Vede l’ uomo ferito, ma passa oltre.
Invece, un samaritano, che era in viaggio, vide, ne ebbe compassione
Dal testo, affiorano tre elementi concreti: vedere, fermarsi, toccare: essi tracciano i tre passi iniziali della risposta alla domanda: “Chi è il mio prossimo ?”.
“Vedere e lasciarsi ferire dalle ferite dell’ altro”. Il mondo è un immenso pianto e , come afferma Davide Turoldo: “Dio naviga in questo fiume di lacrime” invisibili, però, a chi ha perduto gli occhi del cuore, come il sacerdote e il levita. “Fermarsi addosso alla vita che geme e si sta perdendo nella polvere della strada”. Io ho fatto tanto per dire: “Eccomi, sono qui”. Toccare: Il samaritano versa olio e vino, fascia le ferite di quell’uomo, lo solleva, lo carica, lo porta…
Toccare l’ altro, è parlargli silenziosamente con il proprio corpo, per comunicargli: “Non ho paura e non sono tuo nemico”.
Toccare l’altro è la massima vicinanza, è dirgli: “Sono qui per te”; è accettare ciò che lui è, così com’ è; toccare l’ altro è un atto di riverenza, di riconoscimento, di venerazione per la bontà della sua persona. Il racconto di Luca, poi, continua, mettendo in rapida successione dieci verbi, per tracciare “l’ amore fattivo”: vide, ebbe compassione, si avvicinò, versò, fasciò, caricò, portò, si prese cura, pagò, fino al decimo verbo: al mio ritorno salderò.
“Questo è il nuovo decalogo, perché l’uomo sia promosso a uomo”, perché la terra sia abitata da “prossimi” e non da briganti o nemici.
Mons. Antonio Scarcione
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