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sabato 22 ottobre 2016
La Domenica con Gesù, XXX del T.O. / C
……… per tutti coloro che desiderano lasciarsi guidare dalla Parola di Dio: un commento per meditare e per prepararsi alla Liturgia della Santa Messa domenicale
Testi: “Il Signore è giudice…Non è parziale…Ascolta la preghiera dell’ oppresso…La preghiera del povero attraversa le nubi…” Sir 35,15b-17.20-22a .
“Figlio mio,…E’ giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia… Ho conservato la fede…” 2 Tm 4,6-8.16-18 . “…Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’ altro pubblicano…Il fariseo…Pregava così tra sé: o Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri…Pago le decime…Il pubblicano, invece,…Si batteva il petto dicendo: o Dio, abbi pietà di me peccatore…Questi, a differenza dell’ altro, tornò a casa sua giustificato…” Lc 18,9-14.
-“Un Dio esperto in… misericordia”. La Parola ci rappresenta un Dio che - a differenza dei giudici umani – è esperto in giustizia, compassione, benevolenza e umanità, che l’ uomo, spesso, ha smarrito o tradito. Se nei tribunali umani fanno colpo i nomi altisonanti, i titoli da esibire, le ricchezze con cui soffocare la verità; Dio, al contrario, ha a cuore la piccolezza, la povertà, la nullità, incarnate nelle vedove e negli orfani, di cui nessuno si preoccupava. Dio, invece, ha occhio, orecchio e cuore, per garantire loro di poter vivere con dignità.
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Dio, nel tempio, si trova davanti due personaggi, che per la loro origine sono simili, in quanto fatti ad immagine e somiglianza del Creatore. La diversità, invece, emerge nel loro modo di porsi, che è diametralmente opposto. Il fariseo ha accentuato, in sé, il peccato di superbia, ergendosi come modello di impeccabilità e perfezione, tanto da non parlare con Dio, ma con sé stesso. La sua, non è una preghiera, ma un soliloquio, un atto di sfacciato narcisismo. E’ un uomo pseudo-religioso, che non concepirà, né comprenderà mai l’ altro, tanto meno l’ Altro, con l’ iniziale maiuscola, invischiato com’ è, nel suo enorme “ego”.
Agli antipodi, vi è l’ altro personaggio, il pubblicano, che sta lì, nel tempio, come perduto, che attende di essere ritrovato, come un morto, che attende la risurrezione, come una città devastata, che attende i suoi ricostruttori. Quest’ uomo è un peccatore consapevole, colui che si rende conto che la vita sia necessariamente “semper reformanda”. Potrebbe essere lui il protagonista della parabola del figlio prodigo, la pecorella smarrita e caricata sulle spalle del buon pastore: è proprio lui l’ icona di ogni credente, che si pone, davanti a Dio, come peccatore, che attende la redenzione e la remissione dei peccati.
-“La Pasqua del credente”. In questo contesto, “scopriamo” che la conversione e la riconciliazione non sono un ingrediente della Pasqua, sono la Pasqua. Non vi è domenica, senza conversione e riconciliazione, che ci porta a Dio. Chi è disposto a morire per Cristo, con Cristo e in Cristo, ha la certezza e la garanzia di risorgere con lui. In questo senso, l’ Eucaristia diviene cammino di conversione, risurrezione e vita.
Da questo incontro-scontro tra la nostra libertà e la verità di Dio scaturisce in noi il desiderio, il bisogno e l’ impegno di un rinnovamento della vita. Se ciascuno di noi, partecipando all’ Eucaristia, veste i panni del pubblicano, vive un’ esperienza profonda e può rallegrarsi, perché “era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,32).
Mons. Antonino Scarcione
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