Ma il verbo centrale, su cui “poggia” la frase, è: se uno non “ama di più”. Quindi, non di una sottrazione si tratta, bensì, di un’ addizione, un “di più”. Il discepolo è colui che sulla bellezza dei suoi amori stende una più grande bellezza. Questa è, quindi, la prima condizione per la sequela del Signore: “Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti della famiglia, ebbene io posso offrirti qualcosa di ancora più bello e vitale.
La seconda condizione. “Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.” La croce, e noi ce la rappresentiamo come metafora delle difficoltà di ogni giorno ( problemi di famiglia, malattie o, addirittura, perdita della vita ). In realtà, la vita si perde come si spende un tesoro: donandola goccia a goccia. Per cui, il vero problema non è quello di morire, ma quello di non avere niente, di non avere nessuno per cui valga la pena di spendere la vita. Notiamo che, nel vangelo, la croce è la sintesi di tutta la storia di Gesù: amore senza misura, disarmato amore, coraggioso amore, che non si arrende, non inganna e non tradisce.
La terza condizione: “Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”. Perché la vita non dipende dai beni, che si posseggono. Come ottimamente afferma Gandhi, “Un uomo non vale mai per quanto possiede, o per il colore della sua pelle, ma per la qualità dei suoi sentimenti. Un uomo vale quanto vale il suo cuore”. Gesù chiede, sì, una rinuncia, ma a ciò che impedisce il “volo”.
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