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Palio dei Normanni, 12/13/14 agosto

giovedì 13 aprile 2017

Gli strani ospiti e i menù alternativi dell’Ultima Cena

 1_Jacopo Bassano, Ultima cena, Galleria Borghese, Roma


Basilica di Sant'Apollinare nuovo, Ravenna
Basilica di Sant’Apollinare nuovo, Ravenna
Carne di agnello o di capretto, pane azzimo, erbe amare, e probabilmente charoset, una salsa a base di melagrane, mandorle, prugne, noci, datteri tritati, miele e vino: questi forse furono gli ingredienti dell’Ultima cena celebrata da Cristo e gli Apostoli in occasione della Pesach, la Pasqua ebraica.
Benché i Vangeli non siano chiari in proposito il menù si può desumere dalla descrizione che ne da il libro dell’Esodo, quando gli ebrei consumarono in fretta e furia il loro pasto serale prima di lasciare l’Egitto e partire alla volta della Terra promessa, accompagnati dall’ordine divino di ricordare ogni anno l’evento.
Nella religione cattolica la cena si è trasformata nella celebrazione non tanto dell’esodo quanto dell’istituzione eucaristica, e le immagini relative sono diventate nei secoli l’occasione per proporre ogni sorta di vivande molto lontane dalla tradizione veterotestamentaria; arricchendosi anche di inattesi ospiti che niente avevano a che fare con gli Apostoli, come cani, gatti o pavoni.

Giuda col gozzo, Chiesa di San Martino, Ditto di Cugnasco, Canton Ticino
Giuda col gozzo, Chiesa di San Martino, Ditto di Cugnasco, Canton Ticino
Fantasie di artisti? No di certo.
Il pensiero medievale non considerava in modo materialistico le cose di questa terra, ma vedeva negli eventi, nella natura e perfino negli oggetti una corrispondenza col soprannaturale di cui costituivano un simbolo.
Così se animali e piante scarlatte alludevano al sangue di Cristo, il pavone – la cui carne già in epoca romana era considerata incorruttibile – rappresentava invece la perfezione dell’uomo non guastato dal peccato e destinato all’immortalità. L’arte era una metafora del sublime, in un intrico di significati che a noi moderni rende non facile la lettura delle opere dell’epoca. Durante il medioevo la rappresentazione del sacro simposio mantenne uno stile sobrio e discreto: nell’immagine più antica del Cenacolo – quella dei mosaici della basilica di Sant’Apollinare nuovo a Ravenna – Gesù e gli Apostoli, semi sdraiati davanti a una tavola che ricorda le mense latine, sono in procinto di mangiare alcune pagnotte e due grossi pesci, simboli cristologici per eccellenza dal momento che le lettere della parola greca “ichthýs”, pesce, sono l’acronimo di “Iesùs CHristòs THeù HYiòs Sotèr”, ossia “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore”.

Cristoforo da Seregno, Chiesa di San Bernardo a Monte Carasso, Bellinzona
Cristoforo da Seregno, Chiesa di San Bernardo, Monte Carasso, Bellinzona
Nel mosaico ravennate Giuda non si distingue dagli altri dodici, ma con l’andar del tempo assumerà connotazioni sempre più consone al suo ruolo di traditore: brutto, scuro di pelle e cattivo, spesso posto dall’altra parte del tavolo e con i denari in saccoccia. In tal modo compare ad esempio in un affresco della chiesa di San Martino a Ditto di Cugnasco nel Canton Ticino, dove un anonimo e rustico pittore del tardo Quattrocento lo rappresenta addirittura col gozzo, patologia della tiroide allora diffusa tra gli abitanti delle Alpi.
Sulla tovaglia sono posati alcuni gamberi di fiume, curiosa vivanda riprodotta dal XIII al XV secolo nelle chiese dell’arco alpino centro-orientale da artisti che più che ispirarsi al testo biblico si attenevano ingenuamente alle tradizioni locali. I crostacei erano interdetti dall’Antico Testamento perché considerati impuri, ma nelle zone montane d’Europa costituivano un ottimo cibo quaresimale. Tra le interpretazioni simboliche di questo animale ce ne sono due di opposto significato: la prima è riferita al colore rosso sangue (ovviamente il sangue di Cristo)  che assume dopo la cottura,  la seconda al suo camminare a ritroso che potrebbe alludere a coloro che si allontanano dalla fede. Alimenti che si trovano sempre sulla sacra tavola sono il vino e il pane, non necessariamente azzimo ma anche lievitato come vuole la tradizione culinaria occidentale, grazie al via libera di san Tommaso d’Aquino che non condannava l’uso del lievito ma lasciava scegliere ai devoti. Tra le carni non può mancare quella di agnello, mentre un ulteriore strappo alle regole del giudaismo è la presenza del maiale e della lepre, severamente vietati dal Levitico.

Domenico Ghirlandaio, Particolare del Cenacolo di Ognissanti, Firenze
Domenico Ghirlandaio, Particolare del Cenacolo di Ognissanti, Firenze
Durante il rinascimento, molto più laico e godereccio, le portate dell’Ultima cena aumentarono quasi del 70 %, segno evidente di un cambiamento dei gusti alimentari, mentre la tavola si riempì di calici e bottiglie in cristallo, dipinti da artisti memori delle sontuose imbandigioni delle corti signorili.
Il pasto di Cristo e degli apostoli fu posto a decorazione dei refettori conventuali occupando un’intera parete; a Firenze in particolare  il soggetto conobbe una notevole fortuna e fu un banco di prova per pittori come Andrea del Castagno, Pietro Perugino, Andrea del Sarto, Domenico Ghirlandaio.
A quest’ultimo si ascrivono ben tre rappresentazioni della scena, tra cui il Cenacolo di Ognissanti, uno spazio rettangolare parzialmente aperto su un giardino dove sul tavolo, ricoperto da una elegante tovaglia decorata a punto Assisi, sono posati piatti con resti di cibo, pane, vino, lattuga (simbolo della penitenza) arance (i frutti del paradiso) e 37 ciliegie che spiccano sul bianco telo di lino, mentre due animali simbolici, il pavone e il cardellino dal petto scarlatto, osservano dall’alto la cerimonia.

Leonardo da Vinci, Piatto di anguille, Particolare del Cenacolo di Santa Maria delle Grazie, Milano
Leonardo da Vinci, Piatto di anguille, Particolare del Cenacolo
Il più famoso Cenacolo quattrocentesco è però quello di Leonardo da Vinci nel refettorio del convento annesso al santuario di Santa Maria delle Grazie a Milano: il dipinto, come è noto, si degradò molto presto a causa della particolare tecnica pittorica con cui era stato realizzato, per rischiare la distruzione totale durante il bombardamento di Milano del 1943. Il lungo e complesso restauro durato ben 17 anni ha permesso di scoprire pietanze degne della corte di Ludovico il Moro, in particolare anguille alla griglia guarnite con fette d’arancia; infatti fra i molteplici interessi del genio toscano c’era anche la cucina, e tra i suoi appunti sono annotate parecchie ricette a base di svariati tipi di pesce conditi con miele e spezie come usava all’epoca.
Alessandro Allori, Palazzo della Ragione, Bergamo
Alessandro Allori, Palazzo della Ragione, Bergamo

L’Ultima cena del fiorentino Alessandro Allori è un radicale pasto di magro che sarebbe piaciuto a un vegetariano. I lussuosi piatti di ceramica decorata contengono ogni sorta di frutta e verdura – la cui forma fu accuratamente copiata dagli erbari della famiglia Medici dipinti da Jacopo Ligozzi.
I vegetali ovviamente costituiscono un’allegoria della natura divina di Cristo, della sua passione e dell’Eucarestia: alla prima si associano mandorle, pere, mele cotogne, datteri, olive e perfino castagne il cui albero – che germoglia dopo la potatura – rappresenta la Resurrezione, mentre alla seconda sono collegati il cardo, il giglio e naturalmente il pane e il vino.
 Risalendo al nord Italia, un buon profumo d’arrosto emana dalla Cena di Paolo Veronese, ora alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, mentre in quella di Jacopo Tintoretto, situata nella Basilica di San Giorgio Maggiore a Venezia, piove manna dal cielo ed è inserita addirittura quella che sembra una torta con le candeline.

Francesco Bassano il giovane,  basilica di Santa Maria Maggiore, Bergamo
Francesco Bassano il giovane, Basilica di Santa Maria Maggiore, Bergamo
Dal Quattrocento cominciano a comparire sotto alla tavola cani e gatti, spesso in atteggiamento combattivo. I primi gatti erano arrivati nell’antica Roma a seguito dei legionari e si erano diffusi rapidamente in Europa: dapprima apprezzati per la caccia ai topi, dal medioevo in poi furono accusati di connivenza col Maligno, e inseriti tra le creature da eliminare con tutti i mezzi da Gregorio IX nella Bolla “Vox in Rama”con cui si nel 1233 si dava inizio all’Inquisizione.
Con questa brutta fama il magnetico e misterioso animale non poteva che essere considerato il socio di Giuda Iscariota, ai cui piedi veniva spesso sistemato come vera e propria ombra del Diavolo, mentre il cane rappresentava l’eroe buono della situazione in quanto simbolo dell’uomo giusto e fedele che seguiva la Buona Novella.


1 commento:

La moda nella storia ha detto...

Grazie per avermi citato come autrice dell'articolo: "Gli strani ospiti ei menù alternativi dell'Ultima Cena". A volte ti copiano pari pari senza nemmeno mettere il nome.

Sono stata insegnante di storia della moda e dell'arte e come avrete visto, collaboro con il giornale online L'Undici. Doveste avere bisogno di informazioni sulla moda e il costume vi lascio volentieri la mail.
biancamariarizzoli.rizzoli02@gmail.com