"Non dubitare che un gruppo di cittadini impegnati e consapevoli possa cambiare il mondo: in effetti è solo così che è sempre andata" (Margaret Mead)



Quello che fai per te stesso morirà con te,quello che fai per gli altri rimarrà per sempre


Palio dei Normanni, 12/13/14 agosto

domenica 27 novembre 2011

La Domenica con Gesù, I^ Domenica di Avvento

……… per tutti coloro che desiderano lasciarsi guidare dalla Parola di Dio: un commento per meditare e per prepararsi alla Liturgia della Santa Messa domenicale.  

"Fate attenzione, vegliate, perchè non sapete quando è il momento".

 Colui che prende la parola non può esimersi dal delineare gli elementi, che contraddistinguono il tempo dell' Avvento.
 In particolare, due parole chiave orientano la celebrazione: "Venuta" e "Veglia".
- Venuta.  Ne parlano tutte e tre le letture. "Ritorna per amore dei tuoi servi", è l'appello del profeta, a cui fa eco il Salmo: "Vieni a salvarci!  Dio degli eserciti, ritorna!".
 Marco evoca il "momento", in cui il padrone di casa "ritornerà" (e potrà giungere all'improvviso).
 Anche l'apostolo, nella I Lettera ai Corinzi, ricorda  loro che stanno aspettando "la manifestazione del Signore".
 - Veglia.  E' una sorta di ritornello, che scandisce il brano evangelico, un comando, che appare ben tre volte: " Vegliate! ".
 Ecco perché bisogna "fare attenzione", cioè guardare. Il termine vigilare corrisponde a "stare svegli", "custodire sé stessi coscienti", "stare in allerta quasi pronti ad affrontare un momento di grande difficoltà".
 Tutto facile, dunque?  In realtà, sarebbe illusorio ritenere che i cristiani presenti a Messa siano già disposti e pronti a vivere questi atteggiamenti.
 A colui che presiede la celebrazione spetta, quindi, il compito di attualizzare la Parola del Signore. Questo un possibile itinerario:
 - L'Avvento richiede la nostra disponibilità ad aprirci ad un Altro, che è l'Atteso, il dono più grande di Dio all' uomo.
 Ecco perché la prima trappola, da cui guardarci, è quella dell'autosufficienza: mettere sé stessi al centro della vita e della storia, impedisce di guardare oltre, di ridiscutere le scelte, che stanno a fondamento della nostra esistenza.
 La chiusura ermetica agli altri e all'Altro nella ricerca dei propri vantaggi, di fatto costituisce un ostacolo insormontabile con il Dio della promessa e della grazia. La fede, infatti, è fiducia e confidenza nei confronti di Qualcuno, che sta fuori di noi, che ci invita ad andargli incontro.
- La seconda trappola è costituita dalla "voglia di spremere dal presente tutto il possibile", per esaltare l'importanza di ciò che si è e ciò che si ha, come ben dice il card. Carlo Maria Martini.

 La vita assurge, pertanto, ad una sfida  continua, in cui ci si affanna a riempire il tempo, per illudersi di possederlo. Così il denaro da accumulare, per poi avere la libertà di spenderlo, l'ambizione del dominio, inteso come esasperazione della forza, della riuscita, del successo, della ricerca spasmodica del godimento.
- La terza trappola è costituita dalla "rassegnazione" e dall' "evasione": una vita spenta o "drogata", in cui si cerca di sottrarsi alla fatica del pensare e del volere, rinunciando a progettare il futuro.
 Cosa significa, allora, in concreto, vigilare o vegliare?   Significa stare desti, rimanere all'erta, per non lasciarsi sorprender dal sonno, quando un pericolo incombe.
 Custodire qualcosa di molto prezioso, delicato e fragile. Fare attenzione, stare svegli, per capire ciò che accade, acuti nell' intuire gli eventi, preparati a fronteggiare l' emergenza.
 Prendersi il tempo necessario, per avere cura della qualità della vita e conoscere il senso delle emozioni. Essere reattivi di fronte ai diversi aspetti del degrado, al trionfo dei prepotenti e dei superbi.
 Come vivere il presente nell' attesa della sua venuta? Avendo occhi aperti, cuore desto e mani operose.
 - Occhi aperti, per discernere "le cose essenziali dalle cose accessorie, le ultime dalle penultime, le cose che passano da quelle che restano" (Card. C.M. Martini).
 - Cuore desto, perché esso porta dentro una speranza smisurata: un giorno questa terra, sulla quale scorrono tante lacrime e tanto sangue, diventerà un giardino di pace e di giustizia.
 - Mani operose, cioè pronte a compiere il bene e a lottare contro il male, che deturpa, devasta e ferisce le persone. Mani operose, perché responsabili di quanto sta accadendo e quindi disposte a soccorrere, consolare, rialzare, asciugare lacrime e condividere i pesi degli altri. Mani guidate dalla bontà, dalla tenerezza e dalla compassione.

                                                                            Mons. Antonio Scarcione

Nessun commento: